S.M.E.R.
Submarine Escape and Rescue
(Salvataggio e Fuoriuscita da sottomarino sinistrato)

1.  Premessa

 

Abbiamo visto come, in varie disgraziate circostanze, un sommergibile può perdere il controllo e affondare. Se ha la fortuna di trovarsi in una zona in cui il fondale è ad una quota sopportabile dallo scafo resistente, potrebbe adagiarsi sul fondo rimanendo integro (completamente o in parte) e con l'equipaggio in salvo.

Questa situazione rappresenta un scenario di emergenza che, da sempre, è stato oggetto di studi e ricerche. Sebbene sia raro che un battello operi in immersione in acque così basse (caratterizzate quindi da un fondale posto ad una quota compatibile con resistenza strutturale del battello), rappresenta uno scenario che può presentarsi e che, in alcuni casi, è realmente occorso.

 

NOTA: anche se l'esito finale della sua avventura fu tragico e drammatico, il Sottomarino Russo "KURSK" affondò su un fondale di circa 150 metri, e quindi in un regime di pressione idrostatica abbondantemente compreso entro i limiti strutturali sopportabili dal battello. Nonostante questo, i gravi danni subiti a seguito del poco chiaro incidente, non permisero il salvataggio dei pochi sopravvissuti che, per poche ore, rimasero in vita all'interno del battello affondato.

 

Quando si presenta lo scenario sopra descritto, le procedure da seguire sono essenzialmente le seguenti (almeno in teoria):

 

 

Ognuna di queste procedure è ovviamente condizionata dalla reale situazione e dallo scenario effettivamente presente. Sono infatti moltissime le variabili che possono influire su dette operazioni e possono condizionare le delicate decisioni che l'equipaggio deve prendere. Ogni soluzione ha, infatti, i suo vantaggi e i suoi svantaggi, in termini di possibilità di successo e di sopravvivenza. Uno dei fattori più determinanti, in tal senso, è costistuito dal "tempo"; il tempo di possibile arrivo dei soccorsi, il tempo presunto di sopravvivenza a bordo (per via del microclima interno degenerato, allagamento, temperatura), etc.


2.  Sistemi di comunicazione di emergenza

In questi casi è fondamentale dare tempestivamente l'allarme, ossia informare qualcuno della nostra situazione degrata fornendo, ove possibile, il maggior numero possibile di informazioni (posizione, quota, situazione interna, tempo di sopravvivenza presunto, etc.) indispensabili per rendere possibile e celere il coordinamento delle operazioni di soccorso.
Questo primo step procedurale è fondamentale e, in determinate condizioni, non è affatto facile da gestire (in molti casi non è nenche possibile sapere se è il segnale d'allarme lanciato è stato effettivamente ricevuto da qualcuno).

Sistemi ottici
Se l'incidente si verifica in una zona in cui sono presenti altre unità navali militari o civili, le possibilità di successo sono sicuramente maggiori.
Tutti i sottomarini sono infatti (da sempre) dotati di sistemi in grado di rilasciare oggetti che, giunti in superficie, generano luce rossa e/o fumo rosso; tali segnalazioni ottiche, in ambito marittimo, sono internazionalmete riconosciute quali segnali di emergenza e attivano l'attenzione di chi le vede. Si tratta di artifizi chimici che possono essere lanciati da apparecchiature apposite, disposte in varie zone del battello. Nel gergo italiano vengono chiamati "lanciafumate". Sono dei piccoli tubi di lancio (simili, ma molto più piccoli, a quelli impiegati per lanciare i siluri) dotati di un fondo mobile attraverso il quale si inserisce la "fumata", che poi viene espulsa meccanicamente o con aria compressa, dopo aver bilanciato la pressione e aperto il fondo mobile esterno.
L'allarme indotto da questi segnali può sicuramente indurre le unità in zona ad avvicinarsi per cercare ulteriori elementi, e comunque comportano l'allertamento delle autorità marittime competenti (attraverso le quali, l'informazione può giungere alle autorità militare che sono a conoscenza della presenza del battello in zona).
In caso di unità militari, il segnale ottico induce l'utilizzio di altri sistemi (radio, sonar, etc.) per provare a capire di quale emergenza si tratti.

Nel caso in cui il battello, al momento dell'incidente, si trovasse in acque isolate, questo sistema non sarà ovviamente efficace !

Sistemi elettro-acustici
Tutti i sottomarini sono dotati di sistemi sonar in grado di modulare la voce umana attraverso un segnale elettro-acustico percepibile da altre unità subacquee dotate dello stesso sistema. Nel gergo nazionale è chiamato "Telefono subacqueo". Attraverso tale sistema, le unità militari presenti in zona (sia subacquee che di superficie) possono ricevere il segnale e - soprattutto - possono ricevere le preziose informazioni necessarie per avviare le operazioni di soccorso. Questi sistemi hanno una portata notevole (diverse miglia) ma è chiaro che, se il battello si trova isolato in una zona ove non vi sono altre unità militari, questo sistema è ovviamente poco efficace. Idem dicasi nel caso in cui vi siano in zona unità non militari, normalmente non dotate di questo tipo di sistemi.
Sistemi Radio
Sono sicuramente i sistemi più efficaci per gestire questo tipo di emergenze. I battelli sono dotati di vari apparecchi galleggianti (boette) in grado di raggiungere la superficie e lanciare l'allarme via radio. Alcuni di questi sistemi, oltre ad essere dotati di GPS e quindi capaci di comunicare la propria posizione, si connettono ad una rete internazionale di satelliti (COSPAS-SARSAT) che fa capo a vari centri di ascolto dedicati.
Si tratta di sistemi denominati SEPIRB (Submarine Emergency Position Indicating Radio Beacon) che sono molto diffusi anche in ambito navale commerciale e diportistico (EPIRB). Trasmettono informazioni su varie frequenze, tra cui quella della rete mondiale GMDSS (Global Maritime Distress and Safety System).


































Queste boette possono essere lanciate attraverso il "lanciafumate" o possono essere installate in appositi vani ricavati in coperta, pronte per essere liberate manualmente o automaticamente (in determinate condizioni).
Sistemi Magnetofonici (storia)
In passato, alcuni battelli erano dotati di una boa rilasciabile verso la superficie che, tuttavia, rimaneva connessa con il battello immerso. Queste boe erano di dimensioni notevoli ed avevano lo scopo di attirare l'attenzione; per questo scopo erano anche dotate di una luce rossa lampeggiante.
Alcune di queste erano equipaggiate con un vero telefono magnetofonico collegato con il battello; un eventuale soccorritore poteve quindi comunicare con il battello attraverso una comune comunicazione a voce.

3.  Soccorso esterno

 

La complessa organizzazione internazionale che opera nel campo del soccorso ai sommergibili sinistrati (tra cui lo ISMERLO) si pone come obiettivo quello di giungere nel luogo dell'emergenza entro 72 ore, con tutti gli strumenti necessari per svolgere questo tipo di operazioni.

Non è affatto facile e, purtroppo, in determinate situazioni dette 72 ore possono anche risultare troppe; si tratta quindi di un obiettivo basato su valutazioni statistiche che potrebbero risultare anche inefficaci.

In ogni caso, supponendo che il segnale di soccorso sia arrivato in fretta e che i soccorsi siano stati in grado di arrivare nella zona dell'emergenza, ha inizio la vera e propria opera di soccorso che, di massima, prevede:

 

 

3.a  Soccorso al personale eventualmente già fuoriuscito

Nel successivo paragrafo 4 descriveremo nel dettaglio questo tipo di operazione, molto delicata ed effettuabile solo entro determinati parametri di pressione e quota). Come vedremo in seguito, questo tipo di soccorso può anche essere portato in modo molto veloce, impiegando aeromobili e gruppi di soccorso parcadutabili SPAG (Submarines Parchuted Assistance Group).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3.b  individuare la posizione e la quota del battello

Oltre alla posizione, la variabile fondamentale da conoscere è quella della quota. Quanto sopra determina infatti una prima importante condizione. Ove la quota sia realtivamente bassa e quindi compatibile con l'immersione (umida) di sommozzatori in grado di operare in regime iperbarico, il soccorso può essere molto più semplice e rapido (molti operatori possono intervenire contemporaneamente, anche grazie all'ausilio di campane iperbariche e, soprattutto, possono usare le proprie mani per impiegare gli strumenti di soccorso). Ove invece la quota imponga l'uso di scafandri stagni rigidi (ADS - Atmospheric Diving suit), l'operazione diventa più lunga e complessa.

Taranto, esercitazione di soccorso del sommergibile Sciré della Marina Militare con nave Anteo e i palombari. 2014-09-17. © Massimo Sestini
3.c  Instaurare un canale di comunicazione con il battello
Anche questa non è un'operazione facile, ma è comunque fondamentale per capire la gravità della situazione e la tempestività con cui è necessario agire. In tale contesto, anche una semplice comunicazione mediante colpi a scafo, può far capire ai soccorritori che all'interno del battello c'è qualcuno in vita (e che quindi l'operazione va condotta con la massima solerzia). Ove, invece, dal battello non arrivasse alcun segnale di vita, lo scenario potrebbe assumere tutta un'altra tragica configurazione (recupero salme, etc.).
Ove disponibile, il telefono subacqueo è certamente il sistema più efficace per instaurare questo tipo di comunicazioni; per questo motivo, i battelli sono dotati di vari apparati di questo tipo (operativi e di emergenza), così come tutti i mezzi e i sistemi di soccorso.
Conoscere essattamente la situazione, costituisce un enorme vantaggio per i soccorritori (che possono quindi individuare ed identificare le priorità dei vari tipi di intervento da mettere in atto) e, ovviamente, per il battello sinistrato che ha modo di spiegare chiaramente di cosa ha bisogno nell'immediato e nel medio-breve termine.
3.d   Fornire al battello i materiali di soccorso di cui ha urgentemente bisogno
E' molto probabile che nel momento in cui i soccorsi sono arrivati nel luogo del sinistro e le comunicazioni sono state instaurate, il battello abbia urgente bisogno di cibo, acqua, cartucce di LiOH o candele d'ossigeno per rigenerare l'aria, farmaci particolari e altre dotazioni di emergenza.
Questi materiali possono essere forniti al battello, impiegando una delle proprie garitte di fuoriuscita. Si tratta di cilindri installati a cavallo dello scafo resistente, dotati di un portello superiore (esposto all'acqua mare) ed un portello inferiore rivolto verso l'interno del battello. Costituiscono la comune via di ingresso e uscita dal battello ma, come vedremo, sono dotate di particolari strumenti (valvole, etc.) che le rendono utili per molti altri scopi. Il portello esterno, ad esempio, è comandabile dall'interno del battello, così come tutte le valvole posizionate all'interno e all'esterno della garitta.
Seguendo una particolare manovra, svolta essenzialmente dal personale di bordo, è possibile far giungere i primi aiuti attraverso tali garitte. Gli aiuti vengono inseriti in particolari cilindri resistenti alla pressione che sono caratterizzati da dimensioni e forme che ne rendono semplice il trasporto in acque profonde e che, ovviamente, possono essere ospitati nella garitta.
A seconda della quota in cui si trova il battello, è possibile portare questi contenitori con vari sistemi: con i comuni sommozzatori o palombari (ove la quota lo consenta) o con operatori dotati di scafandro resistente (ADS Atmospheric Diving Suite). Ove la quota fosse molto profonda, è anche possibile portare questi contenitori con particolari sistemi a controllo remoto ROV (Remote Operated Veichle) o con piccoli batiscafi dotati di equipaggio.
L'obiettivo è portare i contenitori nei pressi di una garitta (che ovviamente deve essere pienamente funzionante) e comunicare con il battello al fine di predisporre la stessa per ricevere i contenitori al suo interno (aprendo il portello esterno).
Una garitta è dotata di due portelli (uno interno o inferiore e uno esterno o superiore); è collegata al mare attraverso una valvola di allagamento ed è dotata di una valvola di esaurimento per scaricare il suo contenuto in sentina. Esiste anche una valvola di sfogo aria che è utile per accelerare le manovre di allagamento ed esaurimento.

Vediamo i vari passi della manovra (clicca per ingrandire l'immagine qui sopra).

 

Un'altra operazione di soccorso esterno, eseguibile quasi esclusivamente dai sommozzatori (in quanto richiede una certa manualità difficilmente ottenibile da un operatore con ADS o da un ROV) è quella di insufflare aria pulita all'interno del battello e, contemporaneamente, aspirare l'aria (viziata) interna.

Quasi tutti i battelli sono infatti dotati di particolari attacchi (standard a livello NATO) per collegare manichette esterne predisposte per questa operazione. Nei pressi degli attacchi (posizionati sullo scafo leggero) ci sono anche le relative valvole che possono essere manovrate dall'esterno (anche senza la collaborazione dell'equipaggio all'interno del battello).

3.e  Emersione del battello mediante soccorso esterno.
A similitudine degli attacchi e delle valvole di aria soccorso (che servono a ventilare l'atmosfera interna del battello), esistono analoghi sistemi collegati alle casse zavorra, mediante i quali si può insufflare aria ad alta pressione per provocarne l'easurimento e quindi consentendo l'alleggerimento o l'emersione del battello.
Anche per questo sistema è necessaria la manualità di un sommozzatore che deve collegare le manichette e aprire le apposite valvole. E' inoltre (ovviamente) necessario che le casse zavorra siano strutturalmente integre.

3.f  Recupero dell'equipaggio con un mezzo di soccorso esterno

Si tratta forse della più importante operazione di soccorso che viene condotta con sistemi in grado di portare l'equipaggio in superficie, SENZA ESPORLO ALLA PRESSIONE ESTERNA DEL MARE. Si tratta quindi di sistemi in grado di agganciarsi al battello (in prossimità di una garitta) ed accogliere l'equipaggio del battello che, attraverso la garitta stessa, lascia il battello sinistrato e sale a bordo di detti sistemi.

Questi sistemi consistono essenzialmente in:

 

 

Affinchè qualsiasi di questi mezzi possa agganciarsi (in modo sicuro) al sommergibile, il battello deve essere dotato di una particolare superficie, posta intorno al portello superiore della garitta, su cui detti mezzi possano appoggiarsi. La sperficie di appoggio di tali mezzi è infatti costituita con materiali elastici ad elevata aderenza (gomma, silicone, etc.) che, grazie al principio della "ventosa", devono aderire fortemente ed assicurare la tenuta alla pressione esterna del mare. La corrispondente superficie dedicata del battello, che si chiama "Mastra di appontaggio", è caratterizzata da una finitura molto precisa ed è costruita in modo molto robusto per sopportare gli sforzi indotti dal mezzo agganciato. Le dimesioni e le caratteristiche di tali Mastre, sono standardizzare a livello NATO.

Il principio di impiego delle CAMPANE è piuttosto semplice. La campana viene filata dal mezzo di soccorso di superficie e, sotto la guida di sommozzatori o palombari, viene posizionata sulla mastra di appontaggio del battello. Una volta apoggiata si opera con dei sistemi idraulici che fanno in modo di creare la cosiddetta "ventosa" (pressione interna del volume tra campana e mastra, minore della pressione esterna) che tiene la campana solidamente vincolata al battello.
Una volta stabilto il collegamento e pareggiate le pressioni, il battello può aprire i suoi portelli della garitta e al campana può aprire il suo portello inferiore. A quel punto un gruppo di naufraghi può passare all'interno della campana e tornare in superficie. Ovviamente, a seconda del numero dei naufraghi, saranno necessari più viaggi e altrettante manovre di appontaggio. La campana più diffusa al mondo si ispira a quella americana detta "McCann" dal nome del suo inventore (che costiuisce uno standard a livello NATO).
Il sistema basato sui MINISUB o BATISCAFI (spesso genericamente indicati come DSRV - Deep Submergence Rescue Veichle) è molto simile a quello della campana. Ma in questo caso il mezzo è autonomo e non è collegato alla nave madre; è quindi dotato di un suo equipaggio e di un sistema di navigazione/propulsione autonomo. Deve quindi raggiungere il battello e posizionarsi in modo tale da far combaciare la sua stuttura inferiore (solitamente dotata di una forma a "bicchiere capovolto") con la mastra di appontaggio del battello. Una volta appoggiato, procede con la manovra della "ventosa" e la procedura di sbarco del personale (dal battello sinistrato al DSRV) può avere inizio.
I primi DSRV furono progettati e realizzati dalla Marina americana; essi erano trasportabili nelle zone di soccorso anche attraverso vettori aerei, per poi essere posizionati a bordo di navi di soccorso o di sottomarini predisposti per il loro trasporto. Potevano trasportare 10-15 naufraghi alla volta.
L'evoluzione dei veicoli a guida remota ROV, ha indotto molti paesi a dotarsi di sistemi del genere per raggiungere e soccorrere i sommergibili sinistrati. Si tratta di veicoli vincolati alla nave madre che operano come i MINISUB. Sono caratterizzati da dimensioni notevoli (maggiori dei comuni ROV da esplorazione o ricerca) e quindi in grado di ospitare vari naufraghi alla volta.

4.  Abbandono del sommergibile (fuoriuscita in acqua)

 

Nel caso in cui non sia stato possibile dare l'allarme, ovvero che lo stesso non sia stato ricevuto, oppure nel caso in cui i soccorsi tardino ad arrivare, l'equipaggio intrappolato dentro al battello affondato può valutare l'opportunità di abbandonare il battello autonomamente e salire in superficie.

Si tratta di una decisione molto delicata e che può essere influenzata da vari fattori. E' infatti una manovra molto pericolosa, in particolare a quote elevate (anche intorno ai 100 m di profondità), che espone l'organismo dei naufraghi ad uno stress pressorio considerevole. La manovra prevede prima la pressurizzazione del naufrago fino alla pressione della quota, immediatamente seguita da una rapidissima depressurizzazione (connessa alla risalita in acqua, con la conseguente diminuzione della pressione). Queste intense e repentine variazioni di pressione possono non essere tollerate dall'organismo umano o possono provocare gravi infortuni polmonari, barotraumi, embolia gassosa, etc.

Si ricorre pertanto a questa soluzione solo quando la situazione lo richiede e lo scenario (molto degradato e non più tollerabile) lo impone.

I sommergibili sono dotati di sistemi e di apparecchi che permettono questo tipo di manovra e, nei limiti del possibile, aiutano i naufraghi a compierla in relativa sicurezza. Esistono due diversi sistemi di fuoriuscita:

Entrambi prevedono la fuoriuscita da una garitta ma, come vedremo, si basano su procedure piuttosto diverse.

 

4.a  Fuoriuscita Individuale

E' la più antica e diffusa (già dagli anni '70). E' una manovra che permette ad un singolo naufrago di lasciare il battello, impiegando la garitta di fuoriuscita come camera di pressurizzazione e il portello superiore della stessa, come via di fuga verso la superficie. E' un sistema con il quale si esce uno alla volta e che, per ogni manovra, richiede la ripetizione di una artcolata procedura (allagamento e pressurizzazione garitta, apertura portello superiore, fuoriuscita naufrago, chiusura portello superiore, esaurimento garitta). E' quindi una soluzione che richiede tempi considerevoli (almeno 10-15 minuti per ogni fuoriuscita) che vanno tenuti in conto.

Per facilitare la risalita del naufrago, e per consentirgli di sopravvivere una volta giunto in superficie, si impiega una particolare tuta che, oltre a fornire una spinta positiva, fornisce l'aria respirabile al naufrago, durante le manovre in garitta e durante la rapida risalita.

Altri sistemi di salvataggio (senza esposizione alla pressione esterna).
Alcune marine (in particolare quella Russa) hanno sperimentato e impiegano dei sistemi particolari che consentono all'equipaggio di tornare in superficie senza doversi esporre alla pressione esterna del mare. Si tratta di volumi (camere) stagni che possono ospitare l'equipaggio e che si possono staccare dal battello, per risalire in superficie. Una sorta di capsule di salvataggio che, all'occorrenza, si possono separare dal battello e portare gli occupanti al sicuro in superficie.
Storia
Alcuni battelli italiani (tra le due guerre mondiali) impiegarono un sistema simile a questo che, in aggiunta, consentiva al battello di recuperare la capsula una volta che aveva rilasciato in superficie il suo occupante. Una sorta di cilindro (dotato di portello superiore e inferiore) che fungeva da "ascensore" per un singolo naufrago. La capsula (con il naufrago all'interno) saliva per semplice spinta idrostatica e poi veniva recuperato mediante un cavo d'acciaio di ritenuta (avvolto su un verricello idraulico).
NOTA
Queste immagini sono state catturate da un film prodotto dalla propaganda fascista nel 1941. Si tratta del film "UOMINI SUL FONDO" del regista Francesco De Robertis (con aiuto regista, un giovanissimo Roberto ROSSELLINI). Il film racconta di un incidente occorso ad un battello e delle operazioni di soccorso e recupero condotte da una "efficentissima" organizzazione di salvataggio. Un capolavoro del neorealismo italiano che suggerisco agli appassionati (la versione integrale è visionabile su Youtube presso questo link).
L'aria respirabile viene immessa (durante la preparazione) all'interno del cappuccio stagno (quello che si vede in foto, con la cerniera lampo aperta). Una volta giunti in superficie il cappuccio viene rimosso (aprendo la zip) e si respira in aria. Le tute sono galleggianti, ma sono anche dotate di una mini-zattera gonfiabile all'interno della quale il naufrago può attendere in sicurezza i soccorsi (essendo protetto dal freddo e dal rischio di ipotermia - nel battellino c'è anche cibo e acqua).
Torniamo alle operazioni da svolgere in garitta per consentire al naufrago di abbandonare il battello. La manovra viene condotta dal personale di bordo, seguendo procedure che sono oggetto di continuo addestramento. L'ultimo uomo ad abbandonare il battello, dovrà invece compiere la manovra in autonomia (e questo, con particolari accorgimenti, è possibile).
All'interno della garitta vi è un sistema fondamentale che fornisce l'aria alla tuta e al cappuccio in cui il naufrago respira. Si chiama HIS (Hood Insuflation System) ed è una valvola automatica con un attacco predisposto per inserire un apposito bocchettone di cui la tuta è dotata. Essa è collegata ad un circuito che fa capo a delle bombole di aria compressa purificata (e quindi respirabile) che sono installate proprio per questo scopo (e la cui aria viene periodicamente verificata e analizzata).
Vediamo ora le varie fasi della manovra (clicca l'immagine qui sotto per ingrandirla).
4.b  Fuoriuscita Collettiva (Rush Escape)
E' un'altro sistema (impiegato inizialmente dai sommergibili del nord Europa) che impiega l'intero battello come se fosse una garitta. Ossia la pressurizzazione necessaria per pareggiare la pressione interna con quella esterna, viene applicata all'intero battello. La fuoriuscita avviene comunque attraverso i portelli della garitta, ma tutti i naufraghi vengono pressurizzati contemporaneamente.
La manovra prevede l'apertura di alcune valvole di allagamento (collegate con il mare all'esterno), che allagano l'intero battello; man mano che l'acqua mare entra, la pressione interna tende ad incrementare graudalmente. Quando la pressione interna eguaglia quella esterna, i portelli della garitta possono essere aperti, e l'equipaggio può lasciare il battello.
Ovviamente, durante la pressurizzazione, i naufraghi devono impiegare dei respiratori collegati con il circuito dell'aria pulita respirabile, e dotati di sistemi di regolazione della pressione dell'aria erogata. Al fine di mantenere comunque all'interno del battello un'adeguata bolla d'aria, le garitte sono dotate di un particolare sistema che impedisce all'aria interna al battello di sfuggire dai portelli della garitta. Si tratta di una sorta di tenda di forma cilindrica (o tronco-conica), realizzata in materiale flessibile che, normalmente, è raccolta nei pressi del portello inferiore della garitta, ma quando necessario si può stendere verso il basso (viene infatti denominata "Gonna").

Il sistema di erogazione dell'aria respirabile si chiama "BIBS" (Built In Breathing System); è costiutuito da una tubolatura che corre da propra a poppa nei locali dotati di garitta. Ogni 20-30 cm la tubolatura è dotata di attacchi rapidi predisposti per l'aggancio dei respiratori dei naufraghi (che, quindi, possono man mano avvicinarsi alla garitta, spostandosi e agganciando il proprio respiratore ad un altro attacco). Vediamo come si esegue la manovra:

 

E' evidente che la manovra collettiva è molto più veloce di quella individuale (che richiede la ripetizione delle manovre di allagamento/pressuirzzazione per ogni naufrago che esce), in quanto vi è una sola pressurizzazione dell'intero battello (che comunque richiede non poco tempo). Ha tuttavia il difetto di esporre i naufraghi a lunghi periodi esposizione alla pressione (nell'attesa che arrivi il loro turno per infilarsi sotto la gonna e uscire). Questo può aumentare il rischio di embolia gassosa. Nella fuoriuscita individuale, infatti, i naufraghi in attesa del loro turno di sfuggita, stazionano (e respirano) in atmosfera non pressurizzata.

Per capire meglio come funziona questa manovra, suggerisco di vedere questo vecchio video realizzato presso le strutture addestrative della Marina Britannica che si trovano a Gosport.

 

4.c  Addestramento alla furiuscita

Trattandosi di una manovra molto delicata e complessa, risulta necessario per tutti i sommergibilisti sottoporsi ad un addestramento specifico che deve essere quanto più possibile simile alla realtà.

Anche l'indossare la tuta di fuoriuscita è una cosa che richiede un addestramento specifico e allenamento periodico. Conoscerne bene le caratteristiche, i componenti e il funzionamento, costituisce una preziosa conoscenza che, in caso di emergenza, può anche risultare vitale. Saperla indossare bene e in fretta, è un'esigenza fondamentale.
Altrettanto importane è addestrare il personale allo svolgimento delle manovre di fuoriuscita individuale e collettiva; tale addestramento richiede infrastrutture complesse che solo alcune marine hanno. Alcune consentono l'addestramento in acqua, ma senza la pressione, altre invece riescono anche simulare la pressione idrostatica, rendendo le manovre molto più veritiere.
Submariners inside the Submarine Escape Training Tank (SETT), Fort Blockhouse Gosport for the final time.
4.d  Soccorso ai naufraghi fuoriusciti
Nonostante la tuta protegga il naufrago dal freddo, tale protezione ha un limite di tempo. E' quindi necessario prestare soccorso quanto prima al personale che è fuoriuscito dal sommergibile sinistrato. Al fine di accelerare al massimo questo soccorso, molte marine hanno formato dei gruppi aviotrasportati di soccorso, in grado di raggiungere i naugfraghi in tempi nettamente inferiori a quelli che sarebbero necessari per giungere in zona con una nave di soccorso.
Si tratta del cosiddetto SPAG (Submarine Parchuted Assistance Group); un gruppo di specialisti (compresi medici e infermieri) in grado di paracadutarsi in mare nei pressi dei naufraghi e fornirgli l'assistenza medica eventualmente necessaria. Sono dotati di tutto il necessario per fornire questo tipo di soccorso e intervengono con isole galleggianti in grado di ospitare tutti i naufraghi in un ambiente asciutto e confrotevole (isola gonfiabile paracadutata).
Taranto, esercitazione di soccorso del sommergibile Sciré della Marina Militare con nave Anteo e i palombari. 2014-09-17. © Massimo Sestini
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